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Alta tecnologia contro alta burocrazia

di Carmine Fotina

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2 settembre 2009

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Nel frattempo il mercato mondiale delle memorie flash perde smalto, i prezzi medi di vendita scendono in picchiata e la Numonyx mette definitivamente in archivio il progetto M6. L'Etna valley si scopre improvvisamente un mito fragile di fronte alla crisi dei componenti per l'industria digitale. I dipendenti messi in cassa integrazione portano l'illusione hi-tech in strada, tra cori e striscioni di protesta, e in rete, nei blog che almeno servono a scaricare la tensione.

Stm, energia solare e vecchi ricordi
È in questi mesi che il ministero gioca la carta a sorpresa: addio alle memorie flash, si punti tutto sull'energia solare. A fine luglio il dicastero di Scajola rimodula il vecchio contratto di programma e "sponsorizza" la joint venture che dovrebbe attivare gli investimenti privati. Tra Enel e Sharp è già tutto praticamente definito mentre restano da sciogliere gli ultimi dubbi di Stm sulla radicale riconversione del vecchio progetto M6. L'ad di St Microelectronics Aldo Romano non entra nei dettagli nel rispetto del "non disclosure agreement" firmato con i potenziali partner ma nell'ultimo incontro al ministero, il 23 luglio, ha assicurato che ogni riserva sarà sciolta in tempi brevi con un piano industriale forse già pronto a ottobre. Con il contratto di programma, spiega, si finanzierà sia l'attività di ricerca di Numonyx sia il progetto sul fotovoltaico, che dovrebbe concretizzarsi in una newco in cui confluirebbe almeno una parte degli attuali dipendenti.

Eppure tra i sindacati bruciano ancora troppo i vecchi ricordi perché ci si abbandoni senza indugi a un immaginifico futuro in cui la zona industriale di Catania diventa la capitale dell'energia solare. «Non c'è ancora niente di nero su bianco e manca un vero piano industriale – dice Stefano Materia della Fiom-Cgil –. Se abbandoniamo le memorie, siamo sicuri che il fotovoltaico dia garanzie di sviluppo e redditività? In ogni caso – aggiunge – vogliamo discutere del futuro dei dipendenti di M6 ma anche di quelli del modulo a 6 pollici che rischia di chiudere e di tutti i giovani precari che, dopo anni di contratti estivi, sono stati lasciati a casa. Per loro la porta non può restare chiusa».

Alla Transcom le porte restano chiuse

È da quel maledetto 6 aprile, invece, che a Pettino le porte della Transcom non si sono più aperte. Questo quartiere dell'Aquila con 25mila abitanti è stato per mesi un viavai di mezzi di soccorso e volontari, tecnici, ingegneri e geometri in campo per riaprire case e far ripartire uffici. «Il terremoto si è aggiunto alla crisi mettendo in ginocchio l'economia locale – dice Giovanni Di Sero, segretario regionale Fim-Cisl – in questo contesto la vertenza Transcom è un brutto colpo. Una speranza però ce l'abbiamo: l'azienda si è appena aggiudicata una commessa per gestire i servizi di call center dell'Inps, magari è la base da cui ripartire».
«Il terremoto? È stata la classica goccia, niente di più – sbuffa il country manager Boggio –. Il sisma ha solo accelerato i tempi costringendoci a chiudere la sede. Ribadisco che il problema è un altro: si chiama costo del lavoro e la commessa dell'Inps, quando l'aggiudicazione diventerà definitiva, ci darà ossigeno ma non cambierà certo le cose».

Boggio è arrivato alla guida di Transcom nel 2004, gestendo dal quartiere generale di Milano sette contact center e clienti che spaziano dalle tlc e la finanza alla pubblica amministrazione. La sede dell'Aquila fu inaugurata quattro anni prima, con il supporto di Sviluppo Italia e la soddisfazione di rito degli amministratori locali. Oggi però anche tra i politici l'umore è basso sebbene l'arte della sapiente diplomazia imponga di non perdere mai la fiducia e professarsi ottimisti. «Le distanze tra le richieste dell'azienda e la disponibilità del sindacato sono ancora notevoli – commenta Ermanno Giorgi, assessore provinciale al Lavoro –. Noi abbiamo fatto tutto il possibile, battendoci per la zona franca di cui potrà beneficiare anche la Transcom. In fin dei conti credo che in questa vertenza ci siano ancora i margini per trovare un accordo».

Speranze, proposte industriali e controproposte sindacali, tavoli ministeriali che si improvvisano al tempo stesso tribunali e ospedali della crisi. In questo clima da dentro e fuori, al di qua o al di là di un confine sottile, si decideranno in tempi strettissimi il futuro della Stm-Numonyx e della Transcom.
Per la prima molto dipenderà, prima ancora del fotovoltaico, dalla ripresa del mercato di riferimento. Impossibile in questa fase immaginare se il calo dei consumi che strozza l'elettronica si arresterà ridando slancio all'industria dei semiconduttori ma almeno, secondo l'analisi presentata da Romano allo Sviluppo economico, ci sono piccoli segnali positivi e nei prossimi mesi si potrebbe evitare il ricorso alla cassa integrazione. Con la crisi, concorrenti internazionali meno attrezzati hanno pagato un prezzo più alto ed Stm ne esce con una posizione più solida.

Per Transcom, invece, la speranza è un colpo di scena. Per ora l'azienda si prepara a sfruttare il decreto anti-crisi che introduce un premio di occupazione per le aziende che reimpiegano in attività di formazione i lavoratori già in "cassa". «Difficile dire oggi se abbandoneremo l'Aquila – conclude Boggio –, di sicuro resteremo solo se ci mettono in condizione di lavorare su questo territorio senza perdere competitività».
È il pendolo della crisi che, puntuale, oscilla tra il rilancio e la rinuncia.

carmine.fotina@ilsole24ore.com

2 settembre 2009
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